domenica 31 ottobre 2010

Politica: il realismo autentico è quello testimoniatoci dal Papa


Papa Benedetto XVI



Da Avvenire del 27/08/2010
In questo periodo di confusione siamo tentati, o meglio portati, a estraniarci da ciò che avviene intorno a noi (politica, economia…). Avrei voglia anch’io, come tanti, di ‘chiamarmi fuori’. Ma la fortuna (o meglio la Grazia) di essere padre e quindi immerso negli interrogativi che la vita mia e della mia famiglia solleva, mi costringe ad affrontare la ‘sfida educativa’ a cui i nostri vescovi ci hanno richiamato. Di fronte al continuo emergere di ‘contraddizioni’ della politica, non posso non ‘prendere posizione’ davanti ai miei figli e ai loro coetanei. Il rischio degli eccessi nel giudicare è in agguato. Si rischia di farsi sopraffare da un moralismo giacobino che si lava la coscienza con condanne demagogiche, senza un giudizio che parta da una esperienza umana. Oppure si rischia di giustificare tutto come espressione del realismo della politica, come un’inevitabile deviazione verso il compromesso. Allora non si può che partire dalla propria storia, dalla propria ‘educazione’, appunto perché di questo si tratta. Da ormai attempato cinquantenne, col pudore di chi si sente un po’ fuori tempo, sono quasi costretto ad andare alla memoria di quando, giovane democristiano (spero si possa ancora dire), in un Comune della Bassa Milanese facevo politica, prima come consigliere comunale a vent’anni e poi come assessore ai Servizi sociali (quegli assessorati che nei piccoli paesi non vorrebbe nessuno, perché si ritengono solo grattacapi, ma sono al contrario una grande possibilità di ‘esperienze’ umane). Avevo venticinque anni, e mi trovavo ogni giorno a fare i conti con la realtà di centinaia di persone incontrate la sera negli uffici comunali, dopo una giornata di lavoro da impiegato in un’azienda privata. Una realtà che mi coinvolgeva e appassionava (a volte preoccupava); problemi veri che mi costringevano a rispondere e a volte a fare i conti con la mia impotenza, la mia piccolezza di fronte al reale. Era una politica fatta di passione, di lavoro, di approfondimento, di condivisione, di quella giusta dote di idealismo che le circostanze non facevano diventare utopismo.
Lo potevo fare solo perché sostenuto da un gruppo di amici che mi richiamava ogni giorno alla ragione di ciò che facevo e mi costringeva veramente a fare ‘esperienza’. Basta pensare che il massimo della remunerazione era una indennità (irrisoria) che versavo alla sezione del partito per pagare l’affitto dei locali; spesso dovevo attingere al mio stipendio per far fronte alle spese per l’attività politica. Si domanderà perché le racconto questo. Semplicemente perché non posso non fare memoria di questo per ‘giudicare’, in primo luogo per i miei figli, ciò che oggi accade e mi provoca. Dopo essere stato costretto per impegni professionali ad abbandonare la politica da giovane, oggi, con la stessa passione di quegli anni, mi viene con forza, di fronte al vuoto di ‘ragioni’ di alcuni politici di questa epoca, il desiderio di dire, con umiltà, ma con decisione: non è così che chi affronta la ‘fatica’ (‘missione’ forse è un po’ desueto, ahimè) della politica fa una vera ‘esperienza’, non è così che può reggere la sfida. Non posso non ricordare ciò che ad Assago nel 1987 don Giussani disse ad alcuni dirigenti della Dc: «Una cultura della responsabilità deve mantenere vivo quel desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il rapporto con l’infinito, che rende le persone soggetto vero e attivo della storia…». E ancora, «È quindi nell’impegno con questo primato di libera e creativa socialità di fronte al potere che si dimostra la forza e la durata della responsabilità personale». Non possiamo permettere che un cinismo travestito da ‘realismo politico’ privi i nostri figli della possibilità che la realtà porti con sé una speranza e li consegni al moralismo giacobino o al relativismo cinico. Oggi, con rinnovata passione, o meglio desiderio, vedo una formidabile possibilità, di fronte alla provocazione di questo tempo, per risalire dal fondo, non solo attraverso una testimonianza positiva ma facendomi provocare nella ricerca di quel «primato di libertà e creativa socialità» e provocando i nostri figli a una «decisione». In questo senso non trovo nulla più ‘realistico’ di quanto papa Benedetto XVI ci testimonia di fronte alle circostanze che la Chiesa sta affrontando. Lo dico innanzitutto per me: il punto da cui partire è quello in cui uno si trova ora.
Gaetano Rossi