Papa Benedetto XVI |
Da Avvenire del 27/08/2010
In questo periodo di confusione
siamo tentati, o meglio portati, a estraniarci da ciò che avviene intorno a noi
(politica, economia…). Avrei voglia anch’io, come tanti, di ‘chiamarmi fuori’.
Ma la fortuna (o meglio la Grazia) di essere padre e quindi immerso negli
interrogativi che la vita mia e della mia famiglia solleva, mi costringe ad
affrontare la ‘sfida educativa’ a cui i nostri vescovi ci hanno richiamato. Di
fronte al continuo emergere di ‘contraddizioni’ della politica, non posso non
‘prendere posizione’ davanti ai miei figli e ai loro coetanei. Il rischio degli
eccessi nel giudicare è in agguato. Si rischia di farsi sopraffare da un
moralismo giacobino che si lava la coscienza con condanne demagogiche, senza un
giudizio che parta da una esperienza umana. Oppure si rischia di giustificare
tutto come espressione del realismo della politica, come un’inevitabile
deviazione verso il compromesso. Allora non si può che partire dalla propria
storia, dalla propria ‘educazione’, appunto perché di questo si tratta. Da
ormai attempato cinquantenne, col pudore di chi si sente un po’ fuori tempo,
sono quasi costretto ad andare alla memoria di quando, giovane democristiano
(spero si possa ancora dire), in un Comune della Bassa Milanese facevo
politica, prima come consigliere comunale a vent’anni e poi come assessore ai
Servizi sociali (quegli assessorati che nei piccoli paesi non vorrebbe nessuno,
perché si ritengono solo grattacapi, ma sono al contrario una grande
possibilità di ‘esperienze’ umane). Avevo venticinque anni, e mi trovavo ogni
giorno a fare i conti con la realtà di centinaia di persone incontrate la sera
negli uffici comunali, dopo una giornata di lavoro da impiegato in un’azienda
privata. Una realtà che mi coinvolgeva e appassionava (a volte preoccupava);
problemi veri che mi costringevano a rispondere e a volte a fare i conti con la
mia impotenza, la mia piccolezza di fronte al reale. Era una politica fatta di
passione, di lavoro, di approfondimento, di condivisione, di quella giusta dote
di idealismo che le circostanze non facevano diventare utopismo.
Lo potevo fare solo perché sostenuto da
un gruppo di amici che mi richiamava ogni giorno alla ragione di ciò che facevo
e mi costringeva veramente a fare ‘esperienza’. Basta pensare che il massimo
della remunerazione era una indennità (irrisoria) che versavo alla sezione del
partito per pagare l’affitto dei locali; spesso dovevo attingere al mio
stipendio per far fronte alle spese per l’attività politica. Si domanderà
perché le racconto questo. Semplicemente perché non posso non fare memoria di
questo per ‘giudicare’, in primo luogo per i miei figli, ciò che oggi accade e
mi provoca. Dopo essere stato costretto per impegni professionali ad
abbandonare la politica da giovane, oggi, con la stessa passione di quegli
anni, mi viene con forza, di fronte al vuoto di ‘ragioni’ di alcuni politici di
questa epoca, il desiderio di dire, con umiltà, ma con decisione: non è così
che chi affronta la ‘fatica’ (‘missione’ forse è un po’ desueto, ahimè) della
politica fa una vera ‘esperienza’, non è così che può reggere la sfida. Non
posso non ricordare ciò che ad Assago nel 1987 don Giussani disse ad alcuni
dirigenti della Dc: «Una cultura della responsabilità deve mantenere vivo quel
desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il
rapporto con l’infinito, che rende le persone soggetto vero e attivo della
storia…». E ancora, «È quindi nell’impegno con questo primato di libera e
creativa socialità di fronte al potere che si dimostra la forza e la durata
della responsabilità personale». Non possiamo permettere che un cinismo
travestito da ‘realismo politico’ privi i nostri figli della possibilità che la
realtà porti con sé una speranza e li consegni al moralismo giacobino o al
relativismo cinico. Oggi, con rinnovata passione, o meglio desiderio, vedo una
formidabile possibilità, di fronte alla provocazione di questo tempo, per
risalire dal fondo, non solo attraverso una testimonianza positiva ma facendomi
provocare nella ricerca di quel «primato di libertà e creativa socialità» e
provocando i nostri figli a una «decisione». In questo senso non trovo nulla
più ‘realistico’ di quanto papa Benedetto XVI ci testimonia di fronte alle
circostanze che la Chiesa sta affrontando. Lo dico innanzitutto per me: il
punto da cui partire è quello in cui uno si trova ora.
Gaetano Rossi