domenica 23 settembre 2012

Chi se ne cura?





Le recenti vicende politiche potrebbero portare allo sgomento chiunque affidi il proprio destino alle capacità di non sbagliare di chi guida le sorti politiche del nostro o di altri paesi.  Lo sgomento derivante dall’evidente impotenza che, di fronte agli eventi di tutti i giorni, i fatti denunciano amaramente che inevitabilmente tutto ciò che si sente oggi, è smentito o superato domani. La politica degli ultimi anno è stata caratterizzata dall’ascesa dei “capopopolo” e dal loro oblio. Tutto è avvenuto e sta avvenendo sulle ondate emotive e reattive che, pur comprensibili in cui versa l’economia del nostro paese, rischiano di aumentare la confusione e allungare i tempi per, se non risolvere, almeno affrontare i problemi. Insomma dalle stelle alle stalle, dal trionfo al linciaggio.
Ecco cosa è l'uomo se basta a se stesso, un prodotto di consumo da sacrificare agli idoli del momento. Sia esso l'uomo leader, cittadino, elettore, consumatore, dipendente, manager, tecnico, povero, ricco... come se l'uomo debba essere pesato da un attributo, da un aggettivo che ne determina il valore così come qualsiasi prodotto di consumo.  C'è di più: a regolare le dinamiche di relazione tra questi “prodotti” vi è una spaventosa logica “cannibalista”, mors tua vita mea. Ciò avviene nel quotidiano, sui luoghi di lavoro, negli uffici pubblici, negli ospedali, tra i carrelli dei supermercati, dove la prevaricazione diventa sempre più frequente dalle cose più banali alle questioni che condizionano la vita degli individui. Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi? (Salmo 8), da questa domanda del salmo, che chiede ragione dell’essenza prima e ultima dell’uomo, mi viene una domanda un po’ drammatica ma non senza speranza, da padre che ogni giorno deve farsi questa domanda guardando i propri figli, dove è, l’uomo e CHI se ne cura?   Chi si cura di ciò per cui è fatto tutto da chi ha fatto tutto. Come guadiamo i nostri figli?  Per cosa li guadiamo? È inevitabile che loro ci guardino per come li guadiamo noi. È ancora sostenibile una convivenza che mette al centro tutto e di tutto tranne l'uomo? Purtroppo la preoccupazione legittima che esprimiamo per i nostri figli sul loro futuro è figlia di un’ipocrisia di fondo. Non siamo preoccupati del loro destino ma del loro futuro come un’emanazione del nostro successo, quindi al centro non mettiamo il loro ma la nostra idea di loro, il nostro appagamento e la nostra gratificazione.
Se i nostri figli ci guardassero (e guardano) per quello che riusciamo ad accumulare o per il successo che rincorriamo e non per quello che siamo, è perché noi stessi ci guardiamo così, ci stimiamo per questo e stimiamo per questo chi ci sta intorno.
Dobbiamo recuperare la ragione per la quale siamo fatti, desiderare che si compia il nostro destino e quello dei nostri figli. Solo così la convivenza, e lo sguardo che abbiamo sul mondo e sulle cose è centrato sulla risposta a quella domanda: Si so CHI se ne cura ma agisco come se non lo sapessi. 

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