domenica 23 settembre 2012

Quale centuplo?

 

Quale tempo attende i nostri figli? Quale destino avranno? Mi capita spesso di sentire commenti tra amici e conoscenti in merito ai modelli di vita che abbiamo di fronte e che rischiano di essere attraenti per i nostri ragazzi. E spesso questa preoccupazione è legata alle notizie che ci vengono ogni giorno offerte dai media. Quest’allarme spesso nasconde un’implacabile resa. Come se ormai il solo “veicolo” attraverso il quale i nostri figli possono assorbire "modelli" fosse solo il peggio che hanno intorno e che gli viene comunicato dai media: questo o quel politico, questo o quel cantante o attore, o magari il presidente del consiglio. Ognuno di noi può cadere nella tentazione di rassegnarsi a non rischiare. A non prendere su di se, quello che i vescovi hanno chiamato “il rischio educativo”. Tuttavia, credo che la responsabilità che mi è chiesta nell'educazione dei miei figli è appunto una “responsabilità” e non un giudizio moralistico. Una responsabilità che implica tutti gli aspetti della vita e quindi anche quello del giudizio politico e morale. A me sinceramente il comportamento del presidente del consiglio, chiunque esso sia dal punto di vista della sua vita personale e famigliare non interessa, di questo deve rendere conto alla sua coscienza e alla sua moralità, forse mi può infastidire ma non è questo il punto. Ciò che mi interessa è quanto mi attendevo e mi attendo, per me genitore e come famiglia. Sono infatti le mancanze di questo governo e di quelli che lo hanno preceduto che formano il mio giudizio critico e quindi anche le mie scelte elettorali. Questo governo non ha fatto nulla per la politica della famiglia, non ha fatto nulla sulla liberà di educazione sia per coloro che hanno scelto per i propri figli la scuola pubblica sia per quelli che hanno scelto la scuola privata. Il livello della polemica politica degli ultimi tempi non ci ha fatto fare un solo passo verso la soluzione dei problemi che devono affrontare le nostre famiglie nel faticoso compito di crescere ed educare i propri. Domandarsi quale sarà il destino dei nostri figli credo sia il punto da cui partire. Non è certo la preoccupazione per la moralità di Berlusconi, di Casini, di Fini, di Vendola, di Bersani e di tutti i nostri politici che risponde in modo reale a questa domanda. Dobbiamo rispondervi partendo dalla nostra moralità, e non da un moralismo inutile, da una moralità per la nostra vita e quella dei nostri figli che mostri quanto noi siamo appassionati al loro destino attraverso le ragioni che diamo loro per le nostre scelte. Non possiamo abdicare alla nostra responsabilità di rischiare con i nostri ragazzi, siano essi allievi o figli, con l'alibi che la battaglia è persa. Dobbiamo partire da noi dalla speranza che siamo come genitori, per il modo in cui stiamo insieme, è questo che ai nostri figli rimane più di ciò che diciamo. Dobbiamo rischiare nel giudizio sulle cose dandone delle ragioni solo così i nostri figli hanno qualche possibilità di comprendere e di desiderare di essere felici. Il desiderio di felicità non può essere soddisfatto da questo o quel modello ma solo da un "cuore" che cerca uno sguardo che esprime un passione per il proprio destino. Questo sguardo grazie a Dio lo di può ancora trovare negli occhi di molti genitori e di molti insegnanti. Non è lo sguardo di chi non sbaglia mai, non è lo sguardo di chi ha tutte le risposte, è uno sguardo che sa rimandare ad un “Altro” da noi, con tutti i limiti che ognuno ha e sconta in ogni istante ma in ogni istante non si fa determinare da essi.


Potrebbero sembrare distanti dalla realtà queste cose ma la mia esperienza quotidiana mi conforta su come questo modo di affrontare la realtà fà si che i quotidiani errori non siano un limite nei rapporti con i mie figli, con mia moglie con miei collaboratori e colleghi. Solo questo mi fa sperare che ai miei figli (ne ho quattro) rimanga il desiderio di un’autentica felicità. Nel vedere quei giovani a Roma nel giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II, nel vedere il loro sguardo che aveva la consapevolezza di appartenere a un popolo, questa speranza è diventata più una certezza. La testimonianza di Giovanni Paolo II è per i nostri figli una grande occasione per guardare alla vita come lo guardava lui, slegato dalle cose ma consapevole della realtà con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti. Quel "non abbiate paura spalancate le porte a Cristo" che il nuovo Beato ha detto ai giovani è una sfida a tutti noi affinché anche le nostre porte non siano socchiuse dal tempo e dalla "stanchezza" chi più di lui ci ha dato questa testimonianza di immensa apertura? Questo ci fa fare esperienza concreta del centuplo quaggiù.

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